martedì 16 aprile 2013

Cima del Carro (3326 m.)

Prima salita stagionale alla cima del Carro in compagnia di Andrea e Livio, una simpatica guida alpina delle Valli di Lanzo, che abbiamo incontrato durante la salita. L'esplosione di primavera avvenuta in questi giorni in Valle dell'Orco ci ha spinto a provare questa bella salita nella tranquillità dei giorni feriali. Alta pressione, sole ustionante e zero vento ci hanno accompagnato nell'ascesa come nella goduriosissima discesa.

Fringuello alpino

La salita è abbastanza lunga ma mai più di tanto faticosa. Si parte dalla frazione di Chiapili di Sopra; non appena si raggiunge il bivio per il vallone del Carro deviare a sinistra e percorrere il vallone nella sua interezza fino alle morene situate al termine della valle. Risalirle nella parte sinistra per poi deviare decisamente a destra per un lungo traverso, in direzione del Carro. Una volta raggiunto il ripido ghiacciaio del Carro affrontarlo direttamente nella sua parte destra. Raggiunta la bella conca glaciale, continuare verso sinistra e facilemente in vetta.

La discesa può variare molto a secondo delle condizioni della neve. Noi siamo scesi più o meno seguendo l'itinerario di salita, discendendo però la morena centrale e non quella di salita. Bella neve per più metà discesa, prima polvere, poi neve ben trasformata; ovviamente più molle a fondo valle.

 

 

Difficolta: BS

Esposizione: N - NE

Dislivello: 1700 m

Valutazione: ☆ ☆ ☆ ☆ / ☆ ☆ ☆ ☆ ☆

martedì 2 aprile 2013

Punta Corbassera 2607 m. – Canale nord est

Se l'ultimo articolo su questo blog è datato 24 ottobre c'è una ragione: il susseguirsi di eventi intercorsi negli ultimi mesi mi hanno tenuto lontano da pressoché qualsiasi attività legata alla montagna. Questo è dovuto principalmente al fatto che, insieme a 2 amici ho preso in gestione il mitico rifugio Massimo Mila. Il fatto è comunque abbastanza paradossale in quanto se da una parte mi sono definitivamente trasferito in montagna, dall'altra non sono riuscito a vivere pienamente l'esperienza montana. Ma ora che il lavoro al rifugio è a regime, il tempo per qualche gita verticale salta sempre fuori.

Dopo il lungo weekend pasquale, decidiamo di prenderci qualche giorno di meritato riposo, cominciando con una bella uscita sugli sci. Il piacere e la soddisfazione di uscire direttamente dalla porta di "casa" con gli sci sono decisamente potenti.

Dal Mila ci dirigiamo verso il rifugio Jervis seguendo il dolce sentiero estivo che segue in costa la bella valle dell'orco. Dopo poco più di un ora arriviamo in vista del rifugio che doppiamo e saliamo diretti verso la punta Corbassera con l'intento di scendere il ripido canalone nord - est e giungere direttamente al rifugio, chiudendo così un giro vario e divertente. Alte cornici ornano la cresta di attacco al canale. Le aggiriamo sulla sinistra e scendiamo in neve bella e portante per i primi 300 metri. Non appena entriamo nel budello di roccia la neve cambia e ci costringe a una sciata faticosa su neve slavinata e cumuli di ghiaccio. Un piccolo saltino di roccia a metà canale ci da qualche noia mentre i piccoli di camoscio ci danno il benvenuto dalle rocce strapiombanti. Non appena usciamo da questo tugurio granitico la neve cambia ancora diventando quella goduriosa powder che ogni freerider vorrebbe sotto gli sci. Una lunga diagonale verso sinistra ci porta direttamente alla porta di casa. Ora posso decisamente dire di cominciare ad apprezzare i vantaggi della gestione di un rifugio ;)

 

Difficolta: 4.3 - E3

Esposizione: NE

Dislivello: 800 m

Valutazione: ☆ ☆ ☆ ☆ / ☆ ☆ ☆ ☆ ☆

www.rifugiomila.it

mercoledì 24 ottobre 2012

Cima di Vermiglio (3458 m) – Canalone Nord

Pochi giorni dopo la mazzata del Bernina, decidiamo di rischiare ancora la sorte su un’altra salita in quota in quel della Presanella, sulla sua scoscesa e vertiginosa parete nord. Se non altro l'avvicinamento era decisamente meno ingaggioso e l'anticiclone sembrava resistere per ancora qualche giorno. Così, carichi di buona volontà e di zaini da 20 kg, ci avviamo verso il bivacco invernale del rifugio Denza (2298 m), dove ci rifocilliamo e riposiamo le nostre membra stanche in compagnia di qualche ratto affamato.

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Sveglia alle 3.30, colazione flash e partenza verso la parete nord - ovest della cima Vermiglio, con l'intento di salire lungo la bella via Anna e Mario. Già dopo pochi metri fuori dal bivacco, i fantasmi di qualche giorno prima tornano a infestare i miei pensieri: neve molle e inconsistente ricopriva tutta la pietraia soprastante il rifugio. Senza una traccia da seguire, puntavamo a grandi linee in direzione della montagna. Tra scivoloni, bestemmie e cadute rovinose condite da sudore e fatica, siamo finalmente giunti all'attacco di Anna e Mario, proprio nel momento in cui la prima luce dell'alba rischiarava il meraviglioso mondo verticale intorno a noi. Ma rapidamente, allo splendore di cotanta bellezza prende posto la delusione nel vedere che il primo salto di ghiaccio della via non era affatto in condizioni di essere salito, mentre la parte alta era un susseguirsi di goulotte e salti di ghiaccio e rocce pressoché perfetti.

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Determinati a portare a casa comunque qualcosa, abbiamo deciso di ridiscendere fino alla parete settentrionale della cima di Vermiglio per salire il canalone Nord. Bella neve compatta si alternava a cumuli di neve fresca e a salti più ripidi di ghiaccio inframmezzati da compatte rocce granitiche. La via era in buone condizioni, e la mancanza di troppa neve in alcuni punti ha fatto in modo di rendere l'ascesa decisamente più divertente e nello stesso tempo un pochino più tecnica. Poco dopo la metà del canale abbiamo deviato a destra per un muretto di roccia e abbiamo puntato diretti verso la cima, dove siamo finalmente usciti alla calda luce solare, due ore dopo aver attaccato la via. Un paio di doppie con tanto di salto per arrivare al nevaio ci fanno perdere velocemente quota, mentre a tutto il resto pensano le infaticabili gambe. In meno di 3 ore siamo di nuovo al Denza e dopo altrettante ore siamo al Tonale a sorseggiare la guadagnata birra.

 

Difficolta: D- (70°- II)

Esposizione: N

Dislivello via: 500m

Dislivello totale: 1200m

Valutazione: ☆ ☆ ☆ ☆ / ☆ ☆ ☆ ☆ ☆

lunedì 22 ottobre 2012

Relazioni

In questa nuova sezione, in continuo aggiornamento, potrete trovare le relazioni delle vie più note e belle presenti su questo blog.

Roccia

Boulder

domenica 21 ottobre 2012

Allenamento alla frustrazione

Della serie "non tutte le ciambelle escono col buco" anche se la "ricetta" era davvero sfiziosa. Mettete insieme una serie di giorni di altissima pressione, pareti coperte di ghiaccio e neve compatta, un paio di soci volenterosi e una buona dose di entusiasmo e voglia di fare: la ciambella è fatta! Peccato che in questo caso sarebbe forse meglio parlare di frittata. Ma partiamo dall'inizio: l'idea era quella di andare sul selvaggio versante sud del Bernina a ripetere la via direttissima, già salita un paio di settimane prima da un’ altra cordata. Niente di estremo, ma sicuramente un buon inizio dopo quasi due anni senza picche ne ramponi.

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Partenza sabato mattina da Campo Moro con obiettivo il bivacco Parravicini (3183m), posto esattamente davanti alle pareti sud del trittico Roseg - Scerscen - Bernina. L'avvicinamento presunto variava dalle 5 alle 6 ore per un dislivello complessivo di circa 1200 metri. Quello che noi simpaticoni non avevamo calcolato era il fatto che più di metà del sentiero era completamente innevato e soprattutto non tracciato! Ebbe così inizio la frustrazione. Per fortuna il Taglia, pratico della zona, ha trovato e battuto la traccia fino al rifugio Marinelli (2813 m), dove decidemmo di passare la notte in conseguenza del fatto che ormai era quasi buio.

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Un bivacco invernale attrezzatissimo, con tanto di stufa a legna, ci ha regalato una notte sicuramente calda anche se decisamente insonne (per quanto mi riguarda). Sveglia alle 2.30, rapida colazione e via verso la sud del Bernina. E fu qui che iniziò la vera e propria frustrazione: una neve molle e cartonata trasformò quelle che dovevano essere le 2 ore di avvicinamento in 5 ore e mezza di lunga e faticosa tortura. Dopo aver sbagliato più volte direzione, come topi in un labirinto, incapaci di vedere chiaramente, ci perdemmo in mezzo ai crepacci del magro ghiacciaio sud del Bernina. Il livello di frustrazione era in continuo e costante aumento, parallelo al livello di acido lattico nei quadricipiti.

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Finalmente usciti dalle dannate bocche dell'inferno ci accingemmo decisi all'attacco della via, ma, ancora una volta, una neve inconsistente fece in modo di prolungare a dismisura il nostro sforzo. Ma la grande beffa doveva ancora arrivare; finalmente giunti ai piedi della maestosa parete sud, una neve compatta e solida ci diede il benvenuto, mentre una colatoio di ghiaccio e neve pressa si apriva sopra le nostre teste. L'entusiasmo e la gioia di quella splendida visione furono però rapidamente sostituite da incazzatura e rabbia in quanto il sole colpiva ormai più di metà parete facendo piovere neve, ghiaccio e sassi da tutto il versante sud. Dopo un veloce briefing decidemmo così di scendere. Con livelli di avvilimento leggendari facemmo dietrofront, giusto in tempo per scivolare lungo il ripido pendio dell'attacco. Dopo qualche capottone e una trentina di metri mi fermai leggermente scosso e frustrato come non mai.

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Ma il livello di mortificazione non era ancora al suo apice massimo: il ritorno al rifugio Marinelli avvenne in neve ancor più molle e sotto un sole terribile che frustrava i nostri corpi già provati. Sudati ed affaticati arrivammo al rifugio e dopo un veloce ristoro ci buttammo giù per la  scarsa dozzina di km di sentiero che ci separavano dalla macchina. In altre 3 ore il supplizio era finalmente terminato e la giornata nefasta ormai alle spalle.

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Niente "ciambella" a questo giro, soltanto una buona e fresca birra a fine giornata ha rinfrancato i nostri corpi e menti stanche.

Avvicinamento rifugio Marinelli – Parete sud Bernina

mercoledì 10 ottobre 2012

Boulder a Predarossa

L'estate in Valle è sempre particolare: se da una parte ci si gode a pieno dei piaceri offerti dal Masino, per quanto riguarda l'aspetto puramente arrampicatorio, la valle da giugno ad agosto lascia un pò a desiderare. Così le giornate passano in compagnia di un gran numero di persone, tra grigliate, toboga, sole e slack line, aspettando le 3 - 4 del pomeriggio per poter fare qualche tiro al Sasso o fare qualche blocco ai bagni. Il sole è troppo forte, il granito troppo caldo.

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L'unica (stupenda) alternativa è andare in una qualche sperduta valle a fare qualche via leggendaria in quota. L'inconveniente è che a volte questa scelta non concilia pienamente con il clima di relax e pigrizia tipico di agosto. Poi qualcuno ti dice: "Se ti piacciono i blocchi dovresti andare a Preda Rossa, lì è pieno!". Boulder a Preda Rossa? Boulder a 2000m facilmente raggiungibili in auto? Dove ho vissuto fino ad oggi?

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Così armati di crash ci dirigiamo su per la strada agropastorale che passando per località sasso bisolo porta alle fantastiche piane di Preda Rossa. E in effetti si! E' pieno di blocchi! La logica spiegazione che mi viene in mente per il fatto di non aver mai notato la quantità indecente di boulder può essere attribuita al rimanere troppo incantati dalla bellezza della piana, del Disgrazia sullo sfondo, del fiume argilloso e delle vacche al pascolo. Ma in questo ambiente alla Sergio Leone, se si tiene lo sguardo più basso, senza indugiare sulle massicce montagne che ti circondano, non si può fare a meno di vedere centinaia di massi erratici sparsi sui bordi della piana; granito grigio sulla destra orografica, un qualche tipo di gneiss rosso sulla sinistra. Un vero paradiso del boulder.

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Questo ha rivoluzionato la fine della nostra estate in Valle. Il ticket di 5 euro (necessario per salire a Preda Rossa) è più che compensato dal piacere dell'arrampicata, del blocco e del passaggio mai salito. Abbiamo trovato molti sassi smagnesati e molti passaggi già segnati, ma per la maggior parte era tutto da scoprire: spazzolare un blocco e trovare nuove prese, nuovi appigli, e dire: ok adesso ci proviamo, si può passare, è stata una emozione decisamente potente. Ho passato più di 30 minuti saltellando tra una pietraia e l'altra incapace di decidere su quale blocco mettere prima le mani! Se poi vi sentite particolarmente carichi e decidete di camminare con il vostro crash pad per un 30 - 40 minuti, vi consiglio di dirigervi verso la seconda piana: benvenuti nel paese dei b(a)locchi !!! Una quantità indecifrabile di massi vi compariranno davanti agli occhi: sassi alti, sassi bassi, sassi magri, sassi grassi, traversi, fessure, tacche e strapiombi. Si scala al sole dei 2000, circondati da un ambiente superbo e dalla gioia della scoperta.

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Quindi, se siete amanti dell'arrampicata (soprattutto boulder) ma siete troppo pigri per camminare 3-4 ore per scoscesi sentieri, ma non volete privarvi dell'alta montagna, una gita a Preda Rossa può rappresentare una piacevolissima alternativa. Provare per credere!

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In allegato ho riunito foto e passaggi dei blocchi che abbiamo scalato. So che alcuni blocchi erano già stati saliti in passato, ma non sono riuscito a trovare nessuna guida che li raccolga. Per questo abbiamo dato nomi ai sassi e ai passaggi più belli. Tutto a scopo puramente informativo. Enjoy

Relazione – Preda Block

venerdì 31 agosto 2012

Australia

Il richiamo della roccia

Va bene, ok! E' vero, non sono andato certo in Australia per scalare. Le motivazioni che mi hanno spinto ad andare dall'altra parte del mondo sono le più disparate e non è certo mia intenzione discuterle in questo simpatico blog di arrampicata. Sta di fatto che mi sono ritrovato in una realtà completamente diversa da quella a cui ero abituato.

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Gente solare e tranquilla, amichevole e gentile, spiagge da panico, senza ombrelloni, senza sdraio, onde perfette che si spaccano come un metronomo, una dopo l'altra; e centinaia di buffi ometti, infilati in succinte mute, come tante foche che vedevo galleggiare, là fuori, oltre il punto di rottura, aspettando l'onda perfetta. Volevo essere uno di loro! Ho dimenticato l'arrampicata, l'ho presa e messa in un cassetto. Lì non esiste. Lì c’è il surf!


DCIM\100GOPROCosì comprai muta e tavola e senza un minimo di idea di cosa stessi facendo cominciai a provare. Solo il fatto di riuscire a nuotare oltre il punto di rottura delle onde era per me una soddisfazione immensa. Tante volte le onde erano troppo grosse e troppo forti per me e non potevo fare altro che tornare a casa con le pive nel sacco. Ma come in qualsiasi cosa si voglia davvero fare, costanza e perseveranza sono fattori essenziali per la riuscita!

Mai avevo sperimentato sulla mia pelle uno sport che necessiti così tanto allenamento e così tanta pratica come con il surf. C'è bisogno di tempo affinché i muscoli della schiena e delle spalle si sviluppino e ti consentano di nuotare più forte e più a lungo contro la corrente; c'è bisogno di tempo affinché tu riesca finalmente a raggiungere un certo feeling con la tavola e con la spinta dell'onda; e infine c'è bisogno di una marea di tempo per capire come alzarsi dalla tavola e farsi portare dalla forza infinita dell'oceano.

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Con la pratica e la pazienza (oltre che con cadute, spaventi e immense bevute di acqua salata), raggiunsi un discreto livello come surfer; e non era niente male. Quando finalmente riesci ad alzarti dalla tavola, metterti in piedi e farti trasportare dall'onda, vedere il tubo dell'onda che si rompe, ed esserci dentro anche solo per un decimo di secondo, ecco, quella è una sensazione davvero fantastica! Cominciai ad andare sempre più spesso. Con local molto più bravi di me da cui ho imparato un po' di tecniche e segreti. Poi cominci a imparare che l'onda perfetta è una combinazione di innumerevoli variabili come maree, moto ondoso, vento, fondale e altre cose di cui onestamente non mi importava nemmeno. Per il livello che avevo mi bastava andare in acqua e prendere le mie 3-4 onde e tornare a casa felice.

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Ma qualcosa scattò. Qualcosa che avevo messo in un cassetto qualche mese prima tornò a bussare nel mio cervello pieno di acqua salata. Cominciò a succedermi di essere la fuori, oltre il break e con davanti solo l'immenso oceano pacifico; ma il mio sguardo cominciava a vagare, non più in cerca dell'onda perfetta, ma sulle scogliere strapiombanti, sui boulder erratici sulle spiagge e su qualsiasi cosa su cui ci si potesse arrampicare.

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Cominciai a fare un po' di traversi sulle scogliere. Poi cominciai a vagabondare per le spiagge in cerca di qualche blocco. Era difficile ma dovevo saziare la mia fame di roccia in qualche modo.
Trovai un paio di bei blocchi proprio in riva al mare dove spendevo ore a pelarmi le mani e ghisarmi gli avambracci. I surfisti che uscivano dall'acqua mi guardavano incuriositi, chiedendosi perché mai una persona dovrebbe mettersi a scalare un sasso sulla spiaggia. Ma il grido della pietra mi stava chiamando, non potevo che rispondere.

Non smisi mai di surfare perchè quella è la terra del surf! Ricominciai semplicemente a scalare. Scoprii in modo definitivo che il mio elemento era la roccia, non l'acqua.